Tempo fa ero a un motoaperitivo assieme ad alcuni amici. Il locale era frequentato soprattutto da biker harleymuniti. Mentre eravamo fuori a fumare, un ragazzo spilungone e segaligno vestito da "ragioniere delle SS" inforca la sua Forty Eight e se ne va. Guardandolo andare via, un HOG di lungo corso commenta: "Non è così che si sale in moto, non è come se ti sedessi in poltrona. Si vede che non sei un vero motociclista".
Io non sono uno di quelli che parla alla propria moto, il nostro rapporto è diverso. Noi comunichiamo con il corpo, non c'è bisogno di parole. I muscoli che bruciano, lo scarico che scoppietta in rilascio, il mono che spinge in uscita di curva, la gomma che stride, la mano indolenzita per una frizione forse troppo dura, ma precisa e un cambio vecchio stile, da usare in modo maschio, che ti regala un rumore secco e un freno motore che si fa sentire, ma non infastidisce.
Ogni volta che salgo in moto, spendo una frazione di secondo per me e lei. Mi avvicino, la accarezzo mentre giro la chiave, porto il piede sinistro accanto al cavalletto e faccio passare la gamba destra dall'altro lato poggiando il piede sulla pedana. Mi fermo. Porto le mani al manubrio come se stessi afferrando un toro per le corna. Mi fermo ancora. Con un colpo di reni la raddrizzo, porto l'avantreno in asse e mi sistemo sulla sella. Piano. Aggiusto i jeans e la bilancio fra le cosce.
Solo allora la accendo e la faccio scaldare mentre infilo casco e guanti. Se avessi ancora una moto con avviamento a pedale sarebbe ancora meglio, perché quell'antico affondo sulla pedivella ha per me un che di fisico e sensuale. In quel gesto è racchiusa l'unione tra mente e corpo, tra volonta è potenza, tra moto e motociclista.
Anche salire in moto richiede classe e ognuno deve trovare il proprio stile. E' una relazione privata. La propria personalità emerge da ogni singolo gesto, non solo da come ci vestiamo e da come guidiamo perché non lo ripeterò mai abbastanza: il motoaperitivista va sempre in moto con stile. Ci vediamo in strada o al bar.
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